CHEETAH CHROME MOTHERFUCKERS, The Furious Era 1979-1987

Di tutte le storie collegate alla scena hardcore italiana, alcune sono rimaste patrimonio esclusivo e gelosamente custodito da chi quello spirito l’ha vissuto sulla propria pelle (o lo ha fatto suo in seguito), non come mero ascoltatore occasionale ma come adepto di un’esperienza in grado di cambiare per sempre approccio al suono e rapporto con la musica. Alcuni nomi sono usciti dagli steccati, hanno raggiunto un pubblico più vasto e sono in qualche modo divenuti simbolo di quell’epopea, grazie ai molti musicisti –anche internazionali – che li citavano tra le proprie influenze e alle numerose ristampe, pubblicazioni, articoli, magari al semplice fatto che le band non si erano mai realmente sciolte o si erano riformate in seguito. Un nome su tutti, però, è rimasto nella leggenda e si è trasformato in un vero e proprio culto: nessuna reunion, nessuna ristampa, nessuna fonte scritta che non fossero articoli di vecchie ‘zine o racconti in terza persona, il che non ha comunque impedito che lo stesso rimanesse vivo e restasse impresso a fuoco nell’immaginario di chi ha saputo portare avanti e rigenerare l’originario spirito hardcore. I C.C.M. (Cheetah Chrome Motherfuckers) riescono ancora a provocare un brivido lungo la schiena al solo venir nominati, sono oggetto di storie e aneddoti a cavallo tra reale e immaginario, quasi un test per comprendere se chi si ha davanti sia un “fratello” o un semplice visitatore, una cosa da “locals only” insomma. Merito di un approccio senza compromessi, ruvido, ostile, e di un’attitudine selvaggia e geniale che li ha portati a lasciare un segno netto su chiunque abbia attraversato la loro strada, una cicatrice destinata a restare profondamente impressa nel bene e nel male.

La musica dei C.C.M. è viva, pulsante, sanguina, si contorce, colpisce rabbiosa come una belva ferita, sa di urgenza e necessità di urlare, porta su di sé fiera i tratti distintivi della propria terra e del proprio vissuto quotidiano, non punta al premio simpatia, non cerca scorciatoie per arrivare all’ascoltatore, non flirta con generi più appetibili, né si propone di innovare per il gusto di farlo, eppure è anche unica e realmente nuova, irripetibile per molti versi e per questo capace di entrare nel cuore dell’impero e guardare dritta negli occhi i grandi nomi, spesso anche in modo feroce e intimidatorio. Per nostra fortuna, Area Pirata, in collaborazione con lo storico bassista/chitarrista Antonio Cecchi, ha deciso di rendere finalmente giustizia alla band con una raccolta completa e curatissima, a partire dal ricco e “ciccissimo” booklet, una di quelle operazioni filologiche che solo chi è autenticamente coinvolto poteva portare a termine, con una dedizione e un rispetto che trasudano palpabili dal risultato finale. Insomma, stanchi di vedere battere in rete gli originali a prezzi proibitivi o a confrontarsi con raccolte bootleg, i protagonisti hanno in ultimo deciso di rendere disponibile – in modo semplice e al contempo con la giusta cura – il proprio lascito in note, così da offrire all’ascoltatore un quadro completo e fedele di quello che la formazione ha rappresentato e del suo immaginario.

A questo pacco natalizio si deve aggiungere il libro di Cecchi “No More Pain”, la ciliegina sulla torta per un tributo che, oltre ad essere inaspettato, supera anche le più rosee aspettative quanto a completezza e dettagli. Crediamo non serva davvero aggiungere altro, anzi, il resto lo lasciamo a una chiacchierata con l’autore del libro, perché anche per noi quello dei C.C.M. è un nome importante e di cui andar fieri pure oggi.