BEN FROST + FURTHERSET, 22/1/2016

Ben Frost

Venezia, Spazio Aereo.

Lo Spazio Aereo si trova subito fuori Mestre, presso il Parco Scientifico Tecnologico “Vega” di Venezia. Per chi viene in macchina e non è abituato al dedalo di rotonde, tangenziali e controtangenziali di quei posti, consiglio di arrivare fino alla stazione dei treni (che è il centro dell’universo conosciuto) e poi chiedere, perché da lì non manca molto. Era la prima volta che visitavo questo Circolo Arci e devo assolutamente spendere due parole per dirne tutto il bene che posso. Lo Spazio Aereo è isolato, quindi tanto parcheggio e niente disturbo alla quiete pubblica, ma è raggiungibile – credo – anche con un taxi e senza spendere, perché è davvero a un passo dagli alberghi del centro; dentro è come una grande sala di un cinema moderno, con un’acustica della Madonna e uno schermo molto grande per i video. Ci sono molti ragazzi che danno una mano con biglietteria, bar, casse aspetti tecnici vari, i cessi sono vivibili e c’è persino la security.

La prima sorpresa della serata è il pubblico, molto numeroso e interessato alla musica. La seconda è Furtherset, che tutti presentano come il bambino prodigio dell’elettronica qui in Italia. Si tratta sostanzialmente di un bulimico – per fare esempi diversi ma congiunti – à la Gnaw Their Tongues, Venetian Snares o tipo l’ultimo Oneohtrix Point Never, che accumula e affastella più sample e suoni possibili, inventando  sogni (c’è qualche cosa di shoegaze in lui) coloratissimi e dolciastri, avvantaggiandosi della potenza dell’impianto di stasera e fermandosi un attimo prima di essere ballabile. Troppo facile, ma non posso fare a meno di scriverlo, pensare alla sua musica e alle sue visuals come il prodotto inevitabile di una persona della sua generazione, abituata sin dalla nascita ad avere dieci dischi in download sul pc (dagli Slowdive ai Discharge passando per gli Autechre, e che ascolterà mezza volta), mentre in multitasking furente usa lo smartphone, si perde nel labirinto dei video correlati di YouTube e legge un pdf. Divertente vederlo demistificare il suo stesso live, allontanandosi dai suoi strumenti, facendo il giro del tavolo con le attrezzature di Ben Frost e fermandosi a guardare compiaciuto lo schermo dello Spazio Aereo su cui appaiono i suoi collage sfocati. Subito dietro alle prime file, Ben Frost, con berretto nero da portuale, se lo studia attentamente e ritengo stia pensando di vivisezionarlo per guardarlo con comodo in hotel.

Breve pausa sigaretta e tocca all’australiano: niente immagini, ma solo fumo e luci strobo stordenti. Il perno del live è l’ultimo A U R O R A, un album del 2014 che ricevette meravigliosa accoglienza, mentre io sentivo – magari solo leggero – odore di sopravvalutazione, dato che non tutto mi pareva a fuoco o azzeccato. Siccome non penso di avere sempre ragione, ho deciso di venire a vedere Frost questa sera (a distanza di sette anni dall’ultima volta, quando non era ancora sotto Mute e chiudeva il festival “Leviatani e Zanzare” di Bologna) e capire se l’album dal vivo prende forza. Di fatto questa sera A U R O R A cresce e si espande in modo devastante, specie se teniamo conto che si sta discutendo di un disco violento, urgente, nel quale l’artista si era sbarazzato dei suoi soliti ferri del mestiere e aveva tentato nuove strade, con battiti secchi e letali sferrati da batteristi veri, poi ricampionati, pulsazioni incalzanti e livelli e livelli impazziti di suono: anzitutto abbiamo la perfetta simbiosi tra scelte visive e potenza, che investe letteralmente il pubblico e lo avvolge, creando una nuova realtà; poi conta la scelta dei pezzi, perché dal magma emergono “Venter” prima, che è un po’ il “singolo” di quell’album, e la doppietta “Flex” – “Nolan” poi, che suona come il decollo di un jet unito a un allarme bomba, e da questo si capisce che anche Frost, come chi l’ha criticato, sa quali sono i brani su cui puntare per portare a casa il risultato. È comunque l’esperienza nel suo insieme, alla faccia di chi ancora storce il naso di fronte quando sul palco vede (anche) un laptop, a essere totalizzante e a lasciare sfiniti. Ha vinto lui, senz’ombra di dubbio.

P.S.: pena la mia morte in autostrada, non mi gusto l’afterparty a cura di Healing Force Project.

Ringrazio Spazio Aereo per le fotografie. Le due sottostanti (di Antonio Rasi Caldogno) documentano il soundcheck.

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