BANG, Frank Ferrara

Nei primi anni Settanta i Bang sono stati autori di tre album elogiati sia dalla critica, sia dal pubblico, tanto che i ragazzi furono definiti come la risposta Americana ai Black Sabbath. Il loro sound era un mix perfetto tra i suddetti Black Sabbath, i  Grand Funk e i Led Zeppelin, ma come altre band del periodo scomparvero e finirono nel dimenticatoio per divenire poi di culto, annoverati tra le fila di quegli artisti che cesellarono l’hard rock e il (proto)metal .

Quali sono state le tue principali influenze agli inizi e come ti sei avvicinato alla musica. Hai suonato in altre formazioni prima dei Bang? Cosa ci racconti della nascita e degli inizi dei Bang?

Frank Ferrara (voce, basso): Nel 1964, quando sono venuti fuori i Beatles, avevo undici anni e ho subito capito che quello era ciò che avrei voluto fare per il resto della vita. In seguito, ho incontrato Frankie Gilcken, con cui andavo a scuola, e lui suonava la chitarra già da qualche anno. Siamo diventati amici e mi ha insegnato a suonare, ci piacevano le band inglesi, gli Yardbirds, i Kinks, i Cream, Hendrix. Abbiamo iniziato con una band chiamata Purple Haze After un anno dopo aver lasciato la scuola e cominciato a suonare nei club di Philadelphia accompagnando una cantante chiamata Karen Young in un gruppo chiamato Sandd, non mi chiedete però perché ci fosse la doppia D nel nome, credo pensassimo fosse fico. Nel 1968 abbiamo aperto per un gruppo chiamato The Young Rascals allo Spectrum di Philadelphia, avevamo sedici anni. A quel tempo io e Frankie abbiamo cominciato a scrivere brani originali, così due settimane dopo Woodstock abbiamo deciso di mettere su una band insieme e pubblicare un annuncio sulla stampa cui ha risposto Tony Diorio. Continuavamo a provare quasi tutte le sere e questo è andato avanti per diciotto mesi, sempre a scrivere e fare jam. Tony scriveva degli ottimi testi e così abbiamo cominciato a creare la nostra cosa. Abbiamo suonato due o tre concerti soltanto prima di partire per la Florida dove ci siamo fatti strada per aprire a Deep Purple e Small Faces.

So che sei di origini italiane, come sei finito negli USA?

I miei genitori hanno deciso di portare la famiglia negli USA per offrire maggiori opportunità alle mie due sorelle e a me, che ero il più piccolo. Vivevamo nei dintorni di Napoli ed eravamo poveri, così ci siamo trasferiti negli States nel Giugno del 1958.

Hai più visitato il tuo luogo natale in Italia?

Sono tornato nel mio paese (Monteforte Irpino, in provincia di Avellino) con mia madre per visitare la casa di mio nonno. Purtroppo, però, non sono mai riuscito a suonare in Italia, spero un giorno accada.

Puoi spiegarci il concept del primo album Death Of A Country e perché la Capitol non lo pubblicò?

Tony, il nostro batterista, scriveva testi sull’ambiente, la sci-fi, la politica e così via, per cui abbiamo deciso di costruire il nostro disco attorno ad un brano chiamato “Death Of A Country”. Abbiamo registrato tutto ai Criteria Studios di Miami e registrato la demo che ci avrebbe portato ad un contratto. Dopo aver firmato, la Capitol decise che l’idea di un concept album non era buona e questo ci colpì molto, perché credevamo fortemente nella nostra musica. Il nostro produttore Michael Sunday ci portò la notizia a Miami e ci spiegò che dovevamo scrivere un nuovo disco in due settimane.

Come è nato invece l’album Bang?

Con Tony che scriveva testi in una stanza e noi che componevamo musica in un’altra. Abbiamo scritto l’intero disco in dieci giorni e il nostro produttore rimase impressionato da come fossimo riusciti a comporre così in fretta. Mentre lo componevamo sapevamo di avere qualcosa di speciale.

Passiamo ai due dischi successivi Mother / Bow To The King e Music, ti va di parlarcene? Credo che Mother sia per qualche verso superiore.

I contratti discografici a quei tempi prevedevano che si pubblicassero due dischi ogni anno. Noi abbiamo realizzato il singolo “Questions” e ha raggiunto la posizione quarantasei su Billboard, purtroppo in quel momento alla Capitol si stava verificando un grosso cambiamento e così abbiamo perso il gruppo che ci supportava. Il vice-presidente che ci aveva messo sotto contratto e il nostro produttore lasciarono la label. Un nuovo produttore fu assunto e decise che dovevamo cambiare batterista e muoverci verso una direzione più commerciale. Dire che questo fu un brutto colpo è un eufemismo. Eravamo sotto pressione per realizzare il secondo album e cercavamo di mantenerci quanto più duri possibile, ma la label era molto pressante perché realizzassimo un singolo, così abbiamo registrato “No Sugar Tonight” dei Guess Who su Mother. In quel momento, Capitol aveva smesso di sbattersi per noi e noi eravamo alla ricerca di un nuovo batterista per i live, ma eravamo anche obbligati a registrare un nuovo album, così abbiamo deciso di cambiare il nostro sound per farli felici. Ciò che era iniziato come un’avventura fantastica, stava diventando per me e Frankie un vero incubo. Eravamo totalmente disillusi dal music business (o dovrei dire business of music), così abbiamo deciso di staccare la spina.

A quel punto la band si sciolse, non credi aveste ancora delle buone carte da giocare? Non credi fu una decisione sbagliata?

Col senno di poi avremmo potuto resistere, ma io e Frankie avevamo bisogno di un cambiamento.

Avete diviso il palco con grandissime band, c’è qualche ricordo o aneddoto che occupa ancora un posto speciale nella tua memoria?

Uno dei ricordi cui tengo di più è stato l’aprire per i Black Sabbath a Fayetteville, nel North Carolina, rubando il posto a una band cui venivamo spesso paragonati. Avevamo già una buona base di fan negli States e questo si è rivolto a nostro favore quella sera.

Credi che la musica e l’industria che le ruota attorno siano cambiate nel corso degli anni?

Il music business oggi è totalmente differente da come era nei Settanta, allora era ancora totalmente vecchia scuola, non c’era internet, I social media. Tutto era più strutturato, oggi invece si muove più capillarmente.

Cosa avete fatto in seguito, che ne è stato dei tuoi compagni?

Tony Diorio ha smesso di suonare la batteria, ma ha continuato a scrivere testi per noi. I due Frank si sono spostati a Los Angeles e hanno suonato in diverse band senza ottenere molto.

Intorno al 2000 vi siete riuniti, come è stato suonare e registrar di nuovo insieme? Che tipo di feedback avete ottenuto?

Dopo aver vissuto in diversi posti, ci siamo ritrovati a Philadelphia attorno al Duemila, così dopo venticinque anni abbiamo ricominciato a scrivere musica insieme. Dopo tanti anni, la magia era ancora lì, così abbiamo registrato un nuovo album chiamato RTZ senza avere un contratto, quindi lo abbiamo reso disponibile attraverso il nostro sito. È stato come iniziare da capo, non siamo mai diventati una band famosa, eravamo una band di culto e solo i fanatici sapevano chi fossimo. Abbiamo rimesso su il gruppo e suonato in alcuni posti locali per qualche mese, è stato divertente. Alcuni anni dopo ci siamo incontrati col nostro manager originario,  Rick Bowen, che vive a Savannah e ha uno studio di registrazione dove abbiamo inciso un altro disco, The Maze. Anche questo lo trovate su bangmusic.com.

Quali sono i piani per il futuro, state lavorando ad un nuovo disco o ad un tour? Verrete in Italia?

Abbiamo rimesso insieme la band ancora una volta nel 2013 e di nuovo abbiamo cominciato a suonare in giro. Nel 2014 siamo stati in tour con i Pentagram e l’accoglienza è stata buona, è stato gratificante andare in tour dopo quaranta anni e la risposta è stata favolosa. Lo scorso aprile siamo venuti in Europa e abbiamo suonato davanti ai nostri fan per la prima volta, ma è valsa la pena attendere quarantacinque anni. Sembra che torneremo a maggio (maggio 2017, ndr), non ci sono ancora date certe, ma sarebbe fantastico riuscire a venire in Italia. Sarebbe come chiudere un cerchio per me e tornare dopo sessanta anni, sarebbe davvero bello.

Grazie per l’intervista, vuoi aggiungere qualcosa?

Grazie per averci contattato, l’unica cosa che vorrei aggiungere è solo un piccolo consiglio: scoprite le vostre passioni e rendetele reali, il successo non è questione di soldi ma di fare ciò che ami. Grazie mille e keep on BANGin’.