AUTECHRE, elseq 1-5

There are no plans to release ‘elseq 1-5’ on physical formats

Un po’ da megalomani, va detto, quest’operazione di Sean Booth e Rob Brown. Non è da tutti rendere pubblico un ideale box in forma di cinque cartelle di file per un totale di oltre quattro ore di musica, senza – come scritto sopra – pianificare alcuna successiva edizione fisica. Verrebbe quasi da dire che è un rischio grosso per loro, data l’alta probabilità che il nerd di turno metta tutto a disposizione dei vari forum e delle piattaforme di file-sharing (sono certo che sia già successo da tempo). A chi giova un’operazione del genere? Ai musicisti, sempre e comunque, ma è chiaro che forse gli Autechre sono tra i pochi a potersela permettere. Hanno fatto in modo di lasciarci pregustare sul web, eliminandole successivamente, un paio di tracce, proprio come nelle più riuscite campagne di marketing (vedi il recente caso “al contrario” dei Radiohead, che spariscono dalla rete per qualche giorno per poi riaffiorare con video e disco nuovo). Che la sappiano lunga è ovvio, e alla fine ci sono questi pezzi che ci fanno capire che tipo di musica hanno (ancora) in mente, nonostante siano attivi da più di vent’anni. Qui il gioco si fa complicato e allo stesso tempo affascinante, per fortuna: elseq è come un mega-zip nel quale trovi una serie di “prove”, di mix solitamente corrosivi: ce ne accorgiamo dall’attacco frontale che lo inaugura, il “singolo” “Feed 1”, nove minuti circa di cime tempestose che è come provare a leggere un grafico impazzito dallo schermo di un computer, per non dire della melodia da acid-test della successiva “C16 Deep Tread”, che col passare dei minuti rallenta fino ad esalare l’ultimo violento respiro digitale. Ci sarebbero poi gli anfratti post-techno della destrutturata “Curvcaten”, dal fascino assicurato… Nella seconda cartella si fanno notare le concrezioni electro di “Elyc6 0nset” e l’ipercinetica e ravey “Chimer 1-5-1”. La terza parte risulta sempre minacciosa e stortissima, caratteristiche che sono un po’ il marchio di fabbrica dei due: “Eastre” pare la perfetta colonna sonora per un “Blade Runner” muto, al contrario “Mesh Cinereal” risulta un pastone electro piuttosto inconcludente. Se la quarta cartella può vantare le decostruzioni e i detour della lunga “Foldfree Casual”, l’isteria arab-industrial di “Artov Chain” e le mitragliate post drum and bass di “Latent Call”, nella quinta (forse la più affascinante di tutte) si ergono la potente ed evocativa “Pendulu Casual”, che apre le danze, con in coda le ritmiche dilatate ed inquiete di “Spth” o la gragnola di proiettili sonori di “Freulaeux”. Chiude in bellezza la poltiglia sempre aliena ed atmosferica di “Oneum”.

Gli Autechre sono entrati direttamente nei nostri pc (o hard-disk o smartphone, quello che vi pare…) bypassando i negozi di dischi veri e propri tramite store digitali. Dobbiamo prendere atto di questa precisa scelta e andare avanti, anche perché crediamo che non si possa “arrestare” un bel nulla di questo inesorabile processo tecnologico-produttivo…