ATRIARCH, An Unending Pathway

Atriarch

A dispetto dell’atmosfera che pervade An Unending Pathway, terzo album degli Atriarch, le carte messe in tavola con la traccia di apertura “Entropy” sono tutt’altro che occulte. A sentire il modo in cui usa la voce Lenny Smith, il cantante della band di Portland, il primo nome a svettare prepotente è proprio quello di Rozz Williams, cuore, voce e immagine dei Christian Death del primo periodo, gli unici che valga (tanto) la pena ascoltare, peraltro. Diamo un attimo per scontato che Only Theatre Of Pain stia parecchio in alto nelle classifiche di molti lettori di The New Noise e lasciamoci condurre dentro questo oscuro e titanico teatro del dolore, visto che le influenze della compianta band californiana sono solo il punto d’inizio di un disco denso e ricco di sfumature, che sfodera le sue carte senza fretta, una a una, affondando fino alle budella il nero pugnale sacrificale. Se la traccia di apertura o la successiva “Collapse” – qui l’influenza è il rituale pagano post-punk dei Virgin Prunes – sono in effetti un perfetto connubio tra death rock e doom, già con la marziale “Revenant” le cose cominciano a farsi sempre più scure, rallentando e appesantendosi nel finale ed esplodendo nel feroce incipit black metal di “Bereavent”. La gargantuana “Rot” è il pezzo mai scritto dai St.Vitus, mentre nel cuore nero di “Allfather” ci sono i Neurosis di Through Silver in Blood a farsi strada. Se già molte influenze qui presenti erano già percepibili nei precedenti dischi – particolarmente in Ritual Of Passing, uscito nel 2012 – è in quest’ultimo lavoro che gli Atriarch fanno un netto salto di qualità, merito anche della devastante produzione di Billy Anderson (e del budget più cospicuo messo a disposizione da Relapse), uno che di heavyness se ne intende. Massiccio.