ANGELA MARTYR, Morgan Bellini

Conosco l’uomo che risponde a queste domande e mi sono accorto che parlando con lui, anche a qualche concerto, si porta a casa sempre qualche punto di vista non scontato su una band o su un artista. Ricordo bene la reazione iper-positiva delle persone quando tornò con una raccolta di Vanessa Van Basten per Solar Ipse ed è anche per questo che ritengo che quello che ha da dire, all’inizio di un nuovo percorso, interessi a tanti.

Domanda di riscaldamento: come ti senti addosso questo nuovo nome?

Morgan Bellini: Mi fa un certo effetto non essere più ‘Vanessa’… ma avevo proprio una gran voglia di svoltare, anche se non ho un piano ben dettagliato per il futuro. Ho fatto un disco urgente, scritto nelle sue fondamenta in soli due giorni, qualcosa di nuovo per me. Il legame con Vanessa comunque c’è: si tratta pur sempre di un nome femminile, come in passato. Poi c’è l’assonanza con un’altra Angela che inizia per M (infatti il moniker andrebbe letto con la ‘g’ dura, alla tedesca). Il disco parla molto di crisi economica, di tragedie personali, è un po’ più ‘terreno’ a livello di concept che in passato.

Seconda domanda di riscaldamento: in te hanno sempre creduto buone etichette. Stavolta tocca alla Avantgarde, che ha sempre avuto il dono di essere estrema e originale nel suo essere estrema. Che cosa ascoltavi di pubblicato da Avantgarde? Vedo che nel comunicato stampa tirano fuori i “loro” Katatonia parlando di Angela Martyr…

Ho accettato di uscire per Avantgarde molto volentieri, ormai chi mi segue sa che i Katatonia sono stati una delle mie band cardine, soprattutto con i dischi usciti per la label milanese. Anch’io come molti ho fatto la mia capatina al Sound Cave da giovanissimo. Ora avevo voglia di indurire, di metallizzare il mio suono e sapevo di poter trovare rifugio in questa realtà, Roberto mi aveva scritto già molto tempo fa e conosceva i Vanessa. A lavoro compiuto, mi piace molto scavare nel catalogo delle label che mi pubblicano: stavolta sono rimasto molto affascinato da Evoken, Kvist, Darkspace. Ora non mi vengono altri nomi ma ce ne sono…

Come ti sei trovato a lavorare all’artwork con Lucio (Tryfar), sempre se ci avete lavorato assieme? Io lo apprezzo molto, sin dai tempi in cui curava l’immagine della sua etichetta Trazeroeuno. Non so se sia il grafico ufficiale di Avantgarde, ma di certo lavora molto con loro.

Lucio ha un approccio molto professionale e anche se all’inizio (io e Mammarella specialmente) avevamo avuto delle divergenze sul concept, alla fine siamo rimasti tutti e tre soddisfatti. Credo di essere uno dei prodotti meno ‘metal’ della label e porto con me un bagaglio estetico abbastanza diverso dai loro artisti abituali. Comunque se avessi fatto black atmosferico sarebbe stato come sfondare una porta aperta, ho visto dei packaging incredibili curati da Tryfar. Uno su tutti il doppio di Earth and Pillars. Quando apri il book, esce odore di pini.

Ci metti più voce rispetto al passato. Cos’è cambiato? Ti senti anche più sicuro?

A dire il vero no. Più canto e più mi sento inadeguato. Ma sciolti i Vanessa sentivo il bisogno di approcciare la forma canzone definitivamente. Ci provavo da anni. Ha molto a che fare con l’immediatezza della composizione, infatti ho scritto tutto velocemente, con voce, chitarra distorta e loop station. Questo disco è il mio sangue. Ho usato i miei suoni fregandomene altamente degli ‘standard’ attuali e ho cantato con passione tutto quanto. Ancora non so se e quando ripeterò questo schema: sono talmente soddisfatto da questo lavoro che potrebbe passare molto tempo fino ad un prossimo album di Angela. Sono appagato espressivamente, svuotato… ma si cerca sempre di migliorare, ho già alcune idee nuove.

C’è la traccia finale del disco che porta il nome del tuo nuovo progetto e dura praticamente il doppio delle altre. Perché l’hai messa lì e perché ti rappresenta a tal punto da chiamarla “Angela Martyr”?

“Angela Martyr” è stata la prima canzone che ho scritto dopo i Vanessa Van Basten. È uscita di getto, senza particolari revisioni successive. Mi ricorda… il sollievo di quando ci si ritrova a pregare anche se non si crede in niente. Mistero della fede. Chi mi conosce sa bene che non sono insensibile ad argomenti come la religione, le esperienze di pre-morte, la cosmologia. C’è molto di tutto questo in “Angela Martyr”.

Una cosa che in molti ti invidiano è la fluidità con cui ti muovi tra i generi. Oggi abbiamo band coscientemente monogenere (che non necessariamente è un male) o band che per provare a fonderne un paio fanno una fatica della Madonna (e non è necessariamente un bene). Tu hai un trucco?

Stavolta mi è uscito davvero uno strano ibrido, ma credo che funzioni. Proprio ultimamente ho pensato che a conti fatti sto continuando a fare post-rock come dieci anni fa. Ho sempre usato tecniche compositive e di registrazione diverse da un gruppo rock e ora oltretutto non ho nemmeno una band a supportarmi. Sono più simile a un pittore che a un musicista. Ogni tanto mi fermo su un certo passaggio e do una pennellata di suono, a distanza di mesi. Il mio messaggio è più o meno sempre lo stesso negli anni, ma il mio linguaggio può cambiare: ho sempre pensato che fare ‘post’ significhi esattamente questo. Non ho limiti stilistici e non voglio averne. Faccio musica per me stesso, ora più che mai.

Fermo restando quanto appena detto, io e altri miei amici in questo disco ci sentiamo un po’ più di grunge e di quegli anni Novanta. Sono ascolti che so essere tuoi da sempre e dunque ti chiedo se sei d’accordo con noi ed eventualmente come mai sono rientrati nel tuo sound.

La componente anni Novanta è molto forte perché mi fa godere rievocare, riproporre certe atmosfere, che sono andate totalmente perdute. Me le ricreo da solo per riviverle, in un certo senso è più comodo che andare a spulciare in giro. Diciamoci la verità, il nuovo Cobain non è mai nato, quelli della mia generazione lo rimpiangono e in segreto auspicano una sua reincarnazione. Nel disco c’è il suo spettro che aleggia, trasfigurato, caricaturale. Non solo: a volte mi trasformo in un Layne Staley zombificato, putrefatto. È palese che io non ho il talento vocale di questi mostri ma cerco almeno di farmi ‘possedere’ da loro per i miei scopi.

Non conosco Valentina Soligo. Com’è nata la vostra collaborazione? Volevi gli archi in quei pezzi oppure è qualcosa che è venuto fuori parlando con lei? Ricorrerai a queste soluzioni in futuro? O è pericoloso abusarne?

Valentina è una brava violinista che ha collaborato con nomi più o meno importanti della scena pop (Baustelle, Non voglio che Clara…). Ma al di là della nostra amicizia, è stato interessante scrivere al volo la mia prima parte per archi. Cose del tipo ‘aspetta, sali di un tono qui, anzi di due’, oppure ‘la prossima nota è questa: taaaaaaa’, magari indicando a caso la posizione sulla tastiera. Ci siamo divertiti. Se in futuro mi serviranno altri archi, glielo proporrò sicuramente. È la mia violinista ufficiale.

E con Igor com’è andata? Sappiamo tutti che è bravo ma credo forse che la sua presenza in un disco con gli anni Novanta dentro abbia anche a che fare con l’amicizia e i ricordi.

Igor è il più grande cantante di Trieste. Io prediligo il suo stile più aggressivo. Gli Inflated del demo erano oro puro, ma adoro anche quei quattro fantastici pezzi dei Rubicks. La sua presenza sul disco, purtroppo molto limitata, è nata senza una precisa pianificazione, semplicemente ascoltando e criticando i demo dei miei brani assieme. È entrato nel mio laboratorio e ha lasciato una piccola impronta, fondamentale per la riuscita del tutto. Perfetto.

Qui vado forse a toccare un tasto dolente, ma abbiamo dei lettori, tra di loro c’è chi ti segue da anni e sai che questa domanda al posto mio te la farebbe (e che si incazzerebbe con me se io non te la facessi). Impossibile mettere su una band per dei live?

Ho un secondo progetto ormai in cantiere da mesi: ci chiamiamo Yellow Kings e suoniamo in sala prove solo per divertirci, senza pensare a come la prenderebbero le persone. Tornerò presto sul palco! Mi spiace di non aver potuto portare i Vanessa in Europa e di aver preso subito una strada completamente solista, poco fattibile dal vivo. Ma ho quasi quarant’anni e ho molti acciacchi dovuti a una vita spesso incosciente. Per me sollevare un amplificatore è rischioso, e non posso disporre di un service adeguato. Inoltre non trovo così divertente suonare davanti a dieci persone, perché è di questo che spesso si parla, rendiamocene conto. Tra dieci e due preferisco quasi in due, sorseggiando un buon Nebbiolo. Comunque, ci saremo. Stavolta credo sia sicuro. Grazie per l’intervista.