ALTIERI / BALESTRAZZI / BECUZZI, In Memoriam J. G. Ballard

In Memoriam J.G. Ballard

Inevitabile che prima o poi il mondo industrial si occupasse di celebrare il funerale di uno dei suoi padri ideali, James Graham Ballard, morto nel 2009. Data la vastità della sua opera, bisogna dire che Altieri (Monosonik, Candor Chasma), Balestrazzi (Kirlian Camera, TAC, Candor Chasma) e Becuzzi (Kinetics, Limbo…) hanno avuto molto coraggio a cimentarsi apertamente con lui. Anzitutto, l’ambientazione nervosa, fredda e meccanica tessuta dai tre coglie la tensione sotterranea che si respira nei romanzi della seconda fase della carriera di Ballard, quando abbandona la fantascienza in senso stretto. A tirare è la follia che si muove sotto il velo sottilissimo che copre la normalità di un mondo apparentemente ignaro di quanto poco lo separi dall’anarchia, che è la seconda cosa che il gruppo rappresenta al meglio. I titoli che richiamano il periodo “distopico” sono la maggioranza: “Running Wild” (la vita a Pangbourne è troppo perfetta… e quel silenzio iniziale vede crescere un fischio poco rassicurante); “Crash” (sesso e incidenti stradali, da cui il film di David Cronenberg; giustamente uno dei pezzi più violenti dell’album, con un loop devastante); “The Atrocity Exhibition” (il libro è una raccolta di più testi, nella quale ad esempio si prevede con molti anni d’anticipo che Reagan diverrà presidente degli Stati Uniti; per rimanere in ambito dark/industrial, “la mostra”, che qui quanto a violenza se la gioca con “Crash”, è stata già omaggiata da Joy Division, Gary Numan e Merzbow); “Concrete Island” (brano spaventoso, peccato che il libro manchi alla mia collezione); “High Rise” (anche in questo condominio la vita è troppo perfetta e anche in questo caso c’entra Cronenberg, perché l’ambientazione de “Il demone sotto la pelle” è molto simile; il soffio del vento a inizio brano mi ha fatto pensare alla scena in cima al grattacielo dopo la mattanza).

Al primo periodo dello scrittore, invece, si rifanno “The Drowned World” e “The Crystal World” (lo stesso omaggiato dai Locrian in un full length uscito per Utech nel 2010), peraltro impeccabili. Tutto il disco, comunque, è una collaborazione efficacissima tra persone molto affini artisticamente, che si portano certo dietro l’industrial (inteso come quello delle origini), il noise, il dark ambient e tengono conto anche delle esperienze più recenti in ambito glitch e field recordings. Becuzzi, Balestrazzi e Altieri, per quanto mi riguarda, sono stati bravi  a creare un’unica, tossicissima atmosfera, per un album che si beve in un sorso, senza lasciar un goccio.

A margine, una riflessione tra il musicale e l’extra-musicale. L’impatto di Ballard è fortissimo e si percepisce clamorosamente ben oltre i confini del sound di In Memoriam. Senza scrivere un saggio sui suoi rapporti col post-punk (lo ha già fatto qualcuno bravissimo), di cui questo disco alla fin fine è un possibile esito, si possono fare milioni di esempi odierni e vedere che anche chi non penseresti mai ci fa i conti. Caso buffo: in “Paparazzi” Lady Gaga è sexy su grucce d’acciaio e sedia a rotelle (“Crash”?) e parla dell’influenza malata delle celebrità sul vissuto delle persone (un po’ Marilyn Manson, un po’ McLuhan visto che è americana, ma anche un po’ “La mostra delle atrocità”). Caso hipster: l’influenza di Ballard sul mondo dubstep, con Kode9 (che lo cita anche apertamente), Burial e le loro incarnazioni sonore dell’incubo urbano e suburbano, tra l’altro proprio quello londinese, immaginato e in parte esperito dallo scrittore. Insomma, abitiamo in un tributo continuo e non sempre così esplicito – come qui – a quest’uomo, perché il modo di vivere che lui ha descritto scorre nel sangue dei contemporanei in maniera del tutto non forzosa. Il punto debole di quest’album, dunque, sta nel fatto che in realtà Ballard non è morto.

Tracklist

01. Running Wild
02. Crash
03. Interlude One
04. The Drowned World
05. The Atrocity Exhibition
06. The Crystal World
07. Interlude Two
08. Concrete Island
09. High Rise