AIDAN BAKER, Aneira

Aidan Baker

Continua l’instancabile opera di Aidan Baker, nell’anno corrente già oltre quota dieci titoli tra lavori solisti e non (Caudal/Nadja), questa volta a contatto con l’habitat musicale della Glacial Movements, nel quale, visto l’archetipo stilistico dell’etichetta di Alessandro Tedeschi, il canadese può tornare a sfoggiare tutta la sua vena ambient, mai negata o abbandonata, ma spesso lasciata aperta a commistioni post-rock, come ad esempio nei sempre recenti Smudging o Already Drowning.

La luce fredda sotto la quale va inquadrato questo lavoro, però, non vuole richiamare paragoni con il Permafrost di turno, stavolta infatti non siamo immersi in quella totale asetticità elettronica köneriana, ci si rifa invece a quel “gelido calore” (l’ossimoro più scontato che esista) di Netherworld, che coi Nadja collaborò in Magma To Ice (2008).

Aneira (“neve”, da una non meglio precisata radice linguistica gallese) racchiude in sé l’essenza di quei paesaggi resi immobili, ibernati, come tumulati dalle nevi, ma non per questo morti. Sotto la coltre vitrea di drone boreali, ricavati per intero armeggiando su di un’acustica dodici corde che dà risultati simili al Gentile Under The Snow, c’è un cuore, e l’eco dei suoi battiti s’insinua tra crepe microtonali per arrivare agli ultimi sette minuti di armonie sussurranti.